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Quando Emilio Fede raccontava la sua Barcellona: l'Igea Virtus la mia squadra, il Duomo il più bello

Per molti Barcellona Pozzo di Gotto rappresenta la prima, vera trasferta di serie D per il Bari. Campo ostico, lontano anni luce dalla grandeur del San Nicola, ma pure dal contesto di Messina, dove i biancorossi hanno esordito in questa stagione. Emilio Fede, giornalista che dalla Sicilia è partito in direzione di lidi ben diversi, quel campo l’ha frequentato un’infinità di volte da ragazzo. Nato e cresciuto proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, si è divertito a rievocare quei momenti. E pensa a come i barcellonesi di oggi vivranno l’attesa del match con il Bari. Magari come avrebbe fatto lui quando, da giovanotto, entrava in fibrillazione per le performance dei suoi pupilli.
Emilio Fede, quanto è tifoso della squadra della sua città d’origine?
«La passione per l’Igea Virtus è legata alla mia adolescenza. Sono nato a Barcellona Pozzo di Gotto e lì sono rimasto fino all’età di 15 anni. Potrei citare tantissimi aneddoti. Ero e sono legatissimo alla mia terra. Mio nonno materno, Emilio come me, era un gioielliere in centro, nello stesso palazzo che ospitava la sede della società. Andare allo stadio era bellissimo».
Ci andava spesso?
«Certo. E ricordo il chiasso e il divertimento che piacevano tanto a noi ragazzi, in un paese in cui non è che ci fosse molto da fare. Andare a vedere le partite era un’autentica occasione di festa».
Da grande le è capitato spesso di imbattersi nei risultati della squadra?
«Sì. Per curiosità e per il mio lavoro mi è capitato di dare uno sguardo all’andamento del campionato. Essendo siciliano e orgoglioso delle mie origini, come peraltro tutti gli uomini del sud, mi soffermavo sui risultati, purtroppo altalenanti, di Catania, Palermo, Messina. E dell’Igea Virtus chiaramente. Spesso peraltro prestavo anche attenzione alle performance di Pellegrino, arbitro proprio del mio paese. Attraeva la mia curiosità».
Domenica la sua città natale ospiterà una realtà come Bari, finita sciaguratamente in D.
«Mai avrei ipotizzato una cosa del genere. Noi bambini, che stavamo per strada e vivevamo spesso sulle spalle dei nonni, avevamo la percezione di Bari come della classica grande città. Allungando lo sguardo, penso ai ragazzi che oggi vivono a Barcellona Pozzo di Gotto. Immagino come possano attendere questo momento. Sarà davvero molto bello ed emozionante».
Lei da giovane a un certo punto lasciò Barcellona.
«Quando mio padre fu chiamato per la guerra in Africa (poi sarebbe tornato e diventato comandante della polizia locale, ndr) partimmo in direzione Addis Abeba. Ma al ritorno, Barcellona fu importante anche sotto il profilo professionale. Assieme a Ignazio Marino, realizzammo una video inchiesta sul manicomio del paese. Era uno scempio totale, un qualcosa di mai visto. Alla fine vincemmo noi e lo facemmo chiudere».
Se dovesse consigliare ai tifosi del Bari cosa vedere, che suggerimento darebbe?
«Il Duomo di Barcellona Pozzo di Gotto è uno dei più belli in assoluto. Poi c’è un culto religioso fortemente radicato, che si estende fino a Tindari. È il culto della Madonna Nera, molto suggestivo. C’è tutt’oggi un pellegrinaggio in direzione di questa meta, ed è sentitissimo. In tanti visitano la città per quello. E poi, se penso a Barcellona, ricordo nitidamente quando marinavamo la scuola, e raggiungevamo la spiaggia bellissima e pietrosa».
Tornando invece al Bari, c’è un giocatore barese che le piace particolarmente?
«Antonio Cassano mi divertiva un mondo. Oggi non seguo molto le vicende del Bari e non potrei giudicarne i protagonisti, ma Cassano era davvero un grande giocatore».